Luigi Pareyson filosofo della libertà
nato a Piasco nel 1918, giovane professore al Liceo classico di Cuneo e a fianco di Duccio Galimberti nella resistenza italiana, fra i maggiori pensatori europei del dopoguerra.
Articolo di Francesco Tomatis
pubblicato su Cuneo: provincia granda, n. 2, anno 2000, pp. 16-20.
Luigi Pareyson (1918-1991) è indubbiamente uno dei maggiori filosofi italiani del XX secolo. Per quanto poco valgano in filosofia i confronti e le classifiche, trattandosi sempre di un caso singolarissimo – e così qualitativamente eccezionale da essere incomparabile – quello del nascere al mondo di un filosofo, non mi sottraggo tuttavia a un arrischiato compito comparativo, prima che storiografico, per rendere l’idea della sua grandezza. A mio giudizio, nella filosofia italiana del Novecento, a Pareyson possono essere messi accanto solo Michelstaedter e Gentile: non quindi Croce, Gramsci, Evola, Del Noce, Severino, per quanto importanti. Ciò significa che nell’ambito della filosofia europea (ma l’aggettivo è tautologico) solo Wittgenstein e Heidegger lo precedono, soprattutto per gli effetti suscitati dal loro pensiero, notando quanto comunque gli stessi due filosofi maggiori del Novecento non siano che epigoni rispetto ai grandi della stagione greca e tedesca della filosofia: Platone, Aristotele e Plotino da un lato, Kant, Fichte, Hegel e Shelling dall’altro.
Che Pareyson fosse destinato a divenire un grande filosofo lo si comprese presto. Nel 1937, ad esempio, presentò una esercitazione scritta a un seminario universitario del suo maestro Augusto Guzzo, dal 1934 titolare della cattedra di filosofia morale all’Università di Torino. Questi, aprezzandola, la fece leggere a Giovani Gentile, in quanto all’epoca direttore della maggiore rivista italiana di filosofia, il “Giornale critico della filosofia italiana”. Stupito per la profondità e l’originalità del testo, Gentile chiese a Guzzo di quale filosofo torinese si trattasse, non pensando certo ad un diciannovenne. Nel 1938 uscì quindi sulla rivista di gentile la prima pubblicazione di Pareyson, le famose Note sulla filosofia dell’esperienza. E proprio del particolare rapporto di Pareyson con l’esistenzialismo è possibile avviare un tentativo di comprensione della sua originalità nell’ambito della filosofia novecentesca.
Pareyson fu il primo filosofo a far conoscere in Italia la filosofia dell’esistenza, tedesca soprattutto, sviluppando egli stesso una forma personalistica ed ontologica di esistenzialismo. Con irruente purezza e semplicità giovanile Pareyson ruppe l’unico coro neo-idealista (rarissime eccezioni degli isolati, se non esiliati, quali Giuseppe Rensi, Piero Martinetti, Adriano Tilgher) – unente sino ad allora, nelle figure esemplari di Gentile, Croce e Gramsci, accademia soggetta al regime, pubblicistica liberale, opposizione politica incarcerata – presentando l’esistenzialismo non solo come filosofia capace di comprendere le tragiche problematiche contemporanee: fatte di guerra e sofferenza, di fallimento dei totalitarismi politici e intellettuali, dei falsi egalitarismi collettivi, nelle varie versioni borghesi, cameratesche, comuniste, ma anche come antidoto radicale alle filosofie e ideologie ottocentesche all’origine delle catastrofi novecentesche, cogliendo in Kierkegaard il padre dell’esistenzialismo e la vera alternativa a Hegel, così rinvigorendo per giunta le pure fonti religiose dello stesso ateismo esistenzialista novecentesco, nonché aprendo nuove prospettive di lettura e comprensione di profonde correnti di pensiero e filosofi tacitati dall’hegelismo imperante, quali l’idealismo e il romanticismo, Fichte e Schelling in particolare.
Sin dalle sue prime opere: La filosofia dell’esistenza e Carlo Jaspers (1939, 1940), Studi sull’esistenzialismo (1943, 1950), Esistenza e persona (1950), Pareyson individua quello che sarà il nucleo incandescente alimentante perennemente il suo pensiero successivo, nei suoi continui approfondimenti ulteriori, ereditandolo dalla concezione di Kierkegaard dell’esistenza come coincidenza paradossale di autorelazione ed eterorelazione. Varco di accesso non solo alla mia vita personale, ma alla realtà in genere, è l’esistenza: l’esistenza di questo singolo che io sono. Tuttavia il singolo non è un separato individuo, soggetto assolutamente autonomo e autosussistente. L’esistenza è, in quanto tale, coincidenza di ciò che parrebbe non poter coincidere – e che è quindi coincidente in modo paradossale -, paradossale coincidenza cioè non necessaria articolazione o relazione – di autorelazione ed eterorelazione, della relazione con sé, autofondantesi, che ogni singola esistenza è, e della relazione con altro, che altrettanto imprescindibilmente, seppur coincidente in maniera paradossale, essa stessa è.
L’esistenza è se stessa e comprende se stessa in quanto è in relazione con altro e comprende l’altro, e viceversa. Secondo questa profonda radice kierkegaardiana dell’esistenzialismo, Pareyson propone quindi la propria autentica versione di esso come esistenzialismo personalistico e ontologico. Personalistico perché è la singola persona vivente, non un astratto a priori trascendentale o esistenziale, a qualificare l’esistenza e la sua inaggirabilità, pena l’intransitabilità di qualsivoglia minimo senso della realtà e della vita umana. Ontologico perché è nell’apertura all’essere che ci trascende, che mi trascende, che io posso scegliere ed essere me stesso. Che l’esistenzialismo non possa che essere personalistico e che il personalismo non possa che essere ontologico ci dice allora che l’esistenza è quia talis apertura di trascendenza, quindi possibilità di esperienza religiosa. Infatti che l’esistenza sia paradossale coincidenza nel tempo di autorelazione e di eterorelazione mostra quanto la relazione con sé, nell’apertura alla relazione con altro, che ogni singolo è non possa esistere se non in quanto posta, istituita, donata a se stessa e al suo aprirsi all’alterità da una trascendenza che è tale non in quanto posta dalla autorelazione coincidente con la eterorelazione, ma perché trascendente la stessa relazione, e nel momento stesso in cui istituisca tale relazione, cioè perché è l’irrelativo che pone la relazione fra il relativo e l’irrelativo stesso, quindi senza cessare di essere irrelativo nell’istituire liberamente il relativo come possibile relazione con l’irrelativo.
Grazie a questo ritorno a Kierkegaard Pareyson può risalire la nefasta storia degli effetti hegeliana. Leggendo la filosofia e la storia contemporanea come dissoluzione dell’hegelismo, Pareyson ne individua due correnti, quella risalente a Kierkegaard, che conduce all’esistenzialismo, e quella che attraverso Feuerbach giunge sino al marxismo e all’attualismo. Kierkegaard dissolve il sistema hegeliano negando l’identità fra pensiero e realtà, la conciliazione dialettica fra storia ed eternità, ancorando ogni possibile verità alla soggettività del singolo, incoercibile a qualsivoglia sistema assoluto del sapere. Tuttavia, a detta di Pareyson, mantenendo la concezione negativa del finito, tipicamente luterana, già propria a Hegel. Feuerbach risolve invece la filosofia di Hegel antropomorfizzandone gli aspetti più ideali, riducendo a ciò che è reale il razionale e il reale a ciò che è sensibilmente percepibile o desiderabile. Tuttavia la posizione atea di Feuerbach e dei suoi epigoni è ricomprendibile, in un orizzonte più ampio, nella kierkegaardiana, nella concezione dell’esistenza come innanzi tutto autorelazione, che se inospitale giunge alla disperazione, malattia mortale, e se invece aperta nella eterorelazione alla trascendenza, ed eventualmente all’esperienza religiosa, possibile nella sua stessa misura finita e temporale, corrisponde alle questioni stesse dell’ateismo, assumendolo in sé e vincendone tuttavia l’egoismo mortale. Ecco che ritornare a Kierkegaard e all’origine teorica delle vicende contemporanee significa per Pareyson porsi nuovamente e più consapevolmente ancora di fronte al dilemma: pro o contro il cristianesimo? E per Pareyson si tratta di scegliere un cristianesimo tragico, dialettico, paradossale, esso soltanto capace di dare risposta alla deriva atea del pensiero e della storia contemporanea, vivendo e vincendo l’ateismo in sé, sino alla morte in croce per rivelare nella abissale libertà dell’uomo la eterna libertà che è Dio.
L’ontologicità dell’esistenzialismo, la apertura alla trascendenza dell’essere, prima ancora che alla libertà di
Dio, dell’autocomprendersi dell’esistenza umana, conduce inevitabilmente Pareyson, come già Heidegger prima di lui, ad approfondire il proprio esistenzialismo in filosofia ermeneutica, che intenda l’esistenza in quanto tale come comprensione dell’essere trascendente. Prima che Gadamer e Ricoeur, i due più noti filosofi ermeneutici dopo Heidegger, Pareyson elaborò negli anni quaranta e cinquanta una propria filosofia dell’interpretazione o ermeneutica. Oltre che in Esistenza e persona (1950) e in articoli precedenti, i risultati maturi di tale elaborazione sono contenuti in Estetica. Teoria della formatività (1954) e infine in Verità e interpretazione (1971), opera che chiude questo secondo periodo ermeneutico nel cammino di pensiero di Pareyson. Se la realtà è accessibile solo e sempre singolarmente, attraverso l’esistenza personale che io sono, ogni mio atto o pensiero o esserci è interpretazione, personale incarnazione dell’essere che trascende la mia situazione. Non che l’interpretazione sia parziale attingimento dell’essere, bensì ogni vera e autentica interpretazione è il darsi stesso dell’essere in essa: essere che non sta quindi come un oggetto intangibile al di là delle proprie interpretazioni, e che tuttavia non si riduce alle interpretazioni, non ne è esaurito, ma mantiene la propria differenza ontologica. Qui sta lo specifico della posizione di Pareyson rispetto a gran parte delle restanti filosofie ermeneutiche: il mantenimento, anzi la sottolineatura della imprescindibilità della verità per una concezione interpretativa della realtà. L’ermeneutica non solo non mette in crisi, ma cerca di comprendere ed esige ancora più fortemente di ogni altra filosofia la verità.
Perché la verità trascendente e assieme immanente alle sue esistenziali e personali interpretazioni non si riduca a ideologia, a mera espressione della condizionatezza storica dell’interprete, anziché mostrarsi simultaneamente a ciò anche rivelazione di inesauribile e inoggettivabile ulteriorità, essa non può tuttavia esser semplicemente intesa come fonte incessante eppure imperscrutabile suscitatrice di infinite interpretazioni proprio approfondendo la concezione ermeneutica della verità attraverso un riattingimento delle proprie origini esistenzialistiche, Pareyson nell’ultima tappa del suo pensiero si dedica all’elaborazione di una ontologia della libertà, un discorso sull’essere che lo intenda come libertà. Libertà quindi non solo in quanto primaria essenza della esistenza umana, ma anche nel suo significato originario, metafisico, ontologico: l’essere stesso come libertà. Infatti solo comprendendo l’essere come libertà se ne potrà rivelare pienamente la trascendenza veritativa: una necessità logica o semplicemente eventuale, quale l’inesauribile e inesorabile imperscrutabile darsi dell’essere, ne legherebbe circolarmente al finito ogni possibilità di eccedenza significativa. Solo se l’essere trascendente è libero di darsi o di non darsi in una forma finita, solo se l’irrelativo è libero di porsi o di non porsi nella relazione che esso stesso istituisce, e in un istituirla che non sia un vincolarvisi necessitante, la verità non è fagocitata dall’interpretazione né l’infinito reso vuoto prodotto del finito. Si raccolgono in estrema concentrazione, lungo tutta l’ultima tappa del cammino filosofico di Pareyson, il suo esistenzialismo personalistico, la sua ermeneutica veritativa e la sua ontologia della libertà (originaria e finita, indivisibilmente), capaci assieme della forza per affrontare la scoscesa realtà della sofferenza e del male. In opere uscite, nella loro complessività, postume, come Dostoevskij (1993), Ontologia della libertà (1995), Essere libertà ambiguità (1998), Pareyson ripropone quindi una coraggiosa teoria dell’essere, una ontologia, ma non nel comune senso necessitaristico della cosa, bensì un’ontologia della libertà, che comprenda l’essere originario stesso come libertà. Libertà assolutamente iniziale, arbitraria, imperscrutabile, eppure ontologica, propria all’essere stesso nella sua eterna positività, indiscutibile e immemorabilmente attuale. Pareyson concepisce paradossalmente e dialetticamente la libertà come inizio e assieme come scelta, unità originaria irrevocabile in Dio di inizio e scelta, di eternità e unicità nell’iniziare, se stessa e ogni altro ente o creatura, e di assolutezza e arbitrio positivo nello scegliere: nel decidere quindi di essere il bene e l’essere dall’eternità e per l’eternità, significante simultaneamente e retroproiettivamente l’esclusione e la vittoria sul male e il nonessere, posti nell’atto di sconfiggerli e senza che alcuna alternativa precedesse tale eterna e irrevocabilmente positiva autooriginazione divina.
Ma in quanto ontologica, caratterizzante essenzialmente l’essere stesso, la libertà implica allora l’indivisibilità della libertà umana e divina.
E se in Dio la libertà (originaria) è unità eterna e indissolubile e positiva di inizio e scelta: sconfitta del male e vittoria sul nonessere solo in quanto autoposizione nello scegliersi come bene ed essere, tuttavia nell’uomo la libertà (finita) è solo coincidenza di inizio e scelta, paradossale coincidenza nella finitezza esistenziale di tempo ed eternità, autorelazione ed eterorelazione. Cosicché quel male eternamente vinto in Dio, senza che ne precedesse temporalmente o ontologicamente l’eterna autopositività, nell’uomo dallo stato latente può essere riattivato, essendo l’eterna e irrevocabile unità divina nell’uomo solo coincidenza temporale sempre faticosamente da realizzare. Da qui la sofferenza quale creaturale schiavitù alla caducità, il male come realtà pienamente umana, frutto di esistenziale libertà: non corrodente l’essere divino stesso, al punto da farne fallire il progetto di autooriginazione come positività, irrevocabile anche nel suo estendersi alla creazione dell’altro da Dio facendo kenotico spazio in sé, dell’universo creato con a suo radicalmente libero vertice l’uomo, tuttavia capace di sospenderne indefinitivamente la compiuta realizzazione.
Eppure, elaborando intrecciata alla propria esistenza una ermeneutica filosofica dell’esperienza religiosa cristiana, Pareyson riesce con estremo e umile atto esistenzialmente speculativo ad ascoltare la tacita presenza del Cristo sulla terra come rivelazione, attraverso la sofferenza, dell’unione cosmoteandrica che vincola uomini, creature, Dio in un’unica vicenda segnata sì tragicamente dall’abissalità della morte e del male, ma anche riscattabile mediante l’energia e la scommessa del balzo della libertà.
A scuola da Pareyson … tutta una vita
Biografia a cura di Francesco Tomatis
pubblicata su Cuneo: provincia granda, n. 2, anno 2000, pp. 21-22.
Nato il 4 febbraio 1918 a Piasco, paese occitano all’imbocco della valle Varaita, da genitori entrambi originari della valle d’Aosta, Luigi Pareyson fu precocissimo nei suoi studi, iscrivendosi nel novembre 1935 all’Università di Torino e laureandovisi nel giugno 1939. Già nell’autunno del 1935, a soli diciassette anni di età, tenne le sue prime lezioni come supplente al Liceo Cavour di Torino. Nelle estati del 1936 e del 1937 frequentò Karl Jaspers a Heidelberg. Il suo magistero di filosofo della libertà lo rivelò già incomparabilmente al Liceo classico di Cuneo, dove neolaureato e abilitato insegnò dall’ottobre del 1940 al marzo del 1944, sulla cattedra che fu già di Gioele Solari: fra i suoi maestri prediletti, assieme ad Augusto Guzzo, all’Università di Torino. A Cuneo formò alcuni di quelli che fin troppo presto sarebbero dovuti diventare esponenti della resistenza italiana: fra i molti ricordiamo Ildebrando Vivanti, che assieme al collega Leonardo Ferrero accompagnerà in bicicletta il 10 settembre 1943, per poi rientrare in città, alla volta di Madonna del Colletto, dove nacque il nucleo originario delle formazioni partigiane azioniste Giustizia e libertà, e Uberto Revelli, uno dei fondatori della organizzazione partigiana Franchi. Fra gli allievi liceali cuneesi che lo emuleranno nella carriera filosofica si annoverano invece Carlo Arata (professore all’Università di Genova), Michelangelo Ghio (professore all’Università di Chieti), Valerio Verra (professore all’Università di Roma, ora accademico dei Lincei, fra i maggiori storici italiani della filosofia). Sempre con Leonardo Ferrero e con Duccio Galimberti costituisce nel 1942 il nucleo cuneese del Partito d’Azione. Nel marzo 1944 viene sospeso dall’insegnamento e arrestato dall’ufficio politico della Federazione fascista; rilasciato dopo alcuni giorni di prigionia e interrogatori, opererà in semiclandestinità fra Torino, Cuneo, Alba e Piasco, come responsabile dell’ufficio del comando delle formazioni Giustizia e libertà per la provincia di Cuneo, in stretto e riservato contatto con Duccio Galimberti, anch’egli in clandestinità a Torino. Fra i fondatori del clandestino CLN-Scuola piemontese, sino alla liberazione pubblica anonimamente diversi articoli su “L’Italia libera” e documenti programmatici sul problema di una riforma della scuola e della educazione. Dal febbraio 1946 sino all’ottobre 1988 insegna all’Università di Torino, prima Estetica e Pedagogia, poi Filosofia teoretica e Filosofia morale. Nel 1948 e nel 1949 insegna anche all’Universidad de Cuyo di Mendoza, in Argentina, dove ancora è vivo il ricordo della sua personalità.
Fra i suoi allievi più noti: Umberto Eco e Gianni Vattimo, laureati con Pareyson rispettivamente con una tesi su Tommaso d’Aquino ed una su Aristotele, Giuseppe Riconda, suo attuale successore sulla cattedra di filosofia teoretica, nonché presidente del Centro Studi Filosofico-religiosi Luigi Pareyson, presso l’Università di Torino, Sergio Givone e Mario Perniola, fra i maggiori esperti di estetica in Italia, inoltre Claudio Ciancio, Francesco Moiso e Maurizio Pagano, affermati studiosi del romanticismo e dell’idealismo tedesco, Ugo Perone, oltre che filosofo attuale assessore alla cultura del Comune di Torino, Valerio Zanone, già segretario del Partito liberale italiano e ministro della Repubblica. Tra i molti allievi universitari cuneesi laureati con Pareyson anche Maria Lucia Villani, poliedrica ispiratrice del Laboratorio Aggiornamento Poesia Europea del Liceo scientifico di Cuneo. L’insegnamento di Pareyson, malgrado l’assidua e frenetica attività universitaria, non si riduce tuttavia alle relazioni accademiche. Già durante gli anni di Cuneo il filosofo amava circondarsi di una schiera ristretta di allievi e amici eletti, per confrontarsi periodicamente in libertà su problemi filosofici, politici, esistenziali – o anche per suonare, come amava fare, la fisarmonica. Sin dal suo nascere nel comitato direttivo del Centro di studi filosofici cristiani di Gallarate, il suo lavoro nel campo editoriale come direttore della “Rivista di estetica” e di diverse collane filosofiche presso gli editori Mursia, Zanichelli, Bottega d’Erasmo fu inestenuabile, coinvolgendo i migliori studiosi italiani e stranieri. Gli ultimi anni della sua vita mortale, segnati dalla malattia e dalla sofferenza, lo vedono ritirato nella solitudine di Rapallo, concentrato a raccogliere tutte le forze per il suo ultimo lavoro filosofico. Tuttavia anche qui seppe trovare lo spazio per l’amicizia e il magistero, non foss’altro che telefonicamente e via lettera, o attraverso quei preziosissimi incontri di cui di quando in quando faceva dono ai propri scelti interlocutori. È a Rapallo che, oltre al sempre affettuoso rapporto con i famigliari, gli amici di sempre, Giuseppe Riconda, Xavier Tilliette, Gianni Vattimo, si uniscono alle ultime generazioni di studiosi, che iniziano a frequentarlo in quanto oggetto di studio e di pensiero anziché come mero professore, nel costituire il suo personale filtro di mediazione con la storicità.
La morte lo coglie, non impreparato, l’8 settembre 1991, mentre sta concludendo l’opera a cui affidare l’ultima elaborazione del suo pensiero, dall’inizio alla fine ispirato alla libertà: l’Ontologia della libertà.
La riforma della scuola e del costume
Articolo di Luigi Pareyson
pubblicato anonimamente nelle edizioni clandestine del giornale azionista “L’Italia libera” (suppl. al n.18, Roma, 20.2.1944).
Riproposto a cura di
Francesco Tomatis su Cuneo: provincia granda, n. 2, anno 2000, p. 23.
Proponiamo in edizione critica, confrontata con il dattiloscritto originale corretto a mano da Luigi Pareyson stesso e conservato negli archivi dell’Istituto storico della resistenza in Piemonte (ora Istituto piemontese per la storia della resistenza e della società contemporanea) di Torino, uno degli articoli da lui pubblicati anonimamente nelle edizioni clandestine del giornale azionista ”L’Italia libera” (suppl. al n. 18, Roma, 20.2.1944, p. 1), i quali verranno riediti prossimamente nel volume n. 3 delle Opere complete, intitolato Iniziativa e libertà, presso le edizioni Mursia di Milano a cura di Francesco Tomatis (cfr. F. TOMATIS, Bibliografia pareysoniana, Trauben, Torino 1998, pp. 16, 41-42, 148).
L’ordinamento educativo va riguardato sotto due aspetti, la cui connessione è più stretta di quel che appaia a prima vista. Da un lato, noi vediamo la scuola ancora monopolio di fatto dell’alta e media borghesia, con esclusione, salvo che per la scuola primaria, dei ceti popolari, dall’altro ci rendiamo conto che, malgrado discussioni e riforme, essa mantiene ancora nei suoi metodi un astrattismo dogmatico, che la estranea dalle vive esigenze, materiali e morali, della nostra esistenza quotidiana.
Ai partiti e agli uomini che parlano di libertà e sinceramente credono di battersi per essa, sfugge generalmente quale radice di arbitrio e di servitù stia nel sistemi educativi del fanciullo, che, strappato alla vita attiva in cui tende spontaneamente ad esprimere e sviluppare la sua ricca umanità, è irretito in schemi e paradigmi intellettualistici, dove spesso appassisce la freschezza delle sue doti originarle e la indipendenza del suo carattere. E là dove, pel ritmo corale del lavoro comune, dovrebbe educarsi lo spirito alla socialità ed all’autogoverno, si coltivano per lo più i germi contraddittori della passività servile e della cieca reattività. Si parla ad ogni piè sospinto di educazione “formativa”, ma i crani continuano ad esser imbottiti di dogmi <catechismi> e di crusca.
Il regime fascista, con le sue strombazzate riforme e contro-riforme, non ha migliorato questo stato di cose, anzi lo ha aggravato con diffondere abitudini di retorica, d’ipocrisia e di ubbidienza passiva. Lo stesso esperimento del lavoro manuale è stato nient’altro che un’artificiale e dilettantesca appendice alle consuete pratiche scolastiche, senza alcun carattere di serietà.
La nuova società del lavoro reca una concezione nuova del problema educativo. Non ci può essere soluzione di continuità fra il lavoro manuale e quello intellettuale. Questo principio, adombrato nei metodi dei più grandi pedagogisti e riformatori didattici, deve attuarsi nella sua pienezza anche sul piano della organizzazione scolastica. Dal giuoco al lavoro socialmente produttivo, il fanciullo e poi il giovane – ogni fanciullo e ogni giovane – deve tessere la tela del suo mondo partendo dalle sue esperienze creative e potenziando insieme le sue facoltà intellettuali e quelle di vita pratica, cioè artigianesche. La educazione deve dare all’uomo fin dal primi anni quel senso costruttivo che è la premessa e la garanzia di ogni seria specializzazione nel campo del lavoro manuale e della concretezza nel campo dell’attività intellettuale.
Perciò l’ordinamento scolastico dovrà essere coordinato molto intimamente con quello dei grandi organismi produttivi. Non si tratta qui di ridurre le scuole a istituti di avviamento professionale o di svuotarle di umanesimo, ma di mutare radicalmente la concezione stessa della cultura. La quale deve essere bensì strumento di selezione sociale e politica, ma non nella ristretta cornice degli attuali ceti borghesi, e perciò stesso non deve essere alimentata dai loro esclusivi ideali ed interessi.
È connesso a questo un problema di costume gravido di conseguenze. Molte delle deformazioni intellettualistiche, che suscitano giustificate diffidenze nel mondo proletario, derivano dal distacco esistente fra ceti coltivati e ceti non istruiti. La frattura di classe, che nella nostra società inchioda ad un grado d’inferiorità insormontabile anche il proletariato più evoluto, e che si cristallizza, in fatto se noi in diritto, perfino nella incompatibilità del connubio fra ceti proletari e borghesi, deriva in gran parte da cotesta disparità educativa cui si collega una differenza di maniere e dì cerimoniale. La classe operaia, invece di reagire con l’orgoglio del proprio lavoro, con la volontà di conquistare i mezzi culturali e la buona educazione e col disprezzo per la raffinatezza improduttiva, è molto spesso afflitta da un “complesso d’inferiorità” che si traduce in un sentimento d’invidia e di snob, ovvero in uno spirito di categoria incapace d’intendere la funzione sociale della cultura.
Un triste effetto di questa reciproca incomprensione fra il mondo della cultura e quello del lavoro lo si è avuto nel risultato del demagogico tentativo fatto dal fascismo di aprire le porte della educazione umanistica a più vasti ceti sociali, mediante la scuola unica. Tutti gli insegnanti hanno potuto constatare che così non si è elevato il tono di vita e di civiltà di quel ceti, ma si è abbassato il tono e la civiltà della scuola umanistica. Il che sta a dimostrare che la riforma educativa e scolastica non può essere concepita ed attuata che nel quadro di una più vasta riforma d’ordine politico e sociale, e che la cultura può essere ravvivata solo in un’atmosfera di libertà, che implica appunto un rivolgimento nei rapporti fra i vari certi e una profonda mutazione di abitudini, di gusti, di inclinazioni.
Il problema della scuola è dunque <quindi> insieme un problema di giustizia sociale, di riforma pedagogica e di trasformazione del costume. Solo da questo punto di vista, qualitativo e non quantitativo, può avere un senso di verità il detto che quando si apre un scuola si chiude un carcere. Purtroppo molti di coloro che si riempion le gote di espressioni rivoluzionarie, sono ancora immersi nel pantano dei più reazionari luoghi comuni e non hanno neppure il sentore dei problemi educativi e del loro intimo nesso con la conquista della libertà.
Enorme è pertanto l’influenza che gli insegnanti avranno nell’opera di ricostruzione della vita nazionale, enorme la responsabilità che ad essi incombe di conseguenza. Ma a questa responsabilità deve corrispondere una profonda modificazione nel modo di considerare l’ufficio dell’insegnamento, sin dai primi gradini della scuola elementare, nei metodi e negli istituti di preparazione magistrale, nonché nel trattamento economico dei professori e maestri. Il Partito d’Azione, che conta fra i suoi più attivi gregari insegnanti e studenti, considera il problema come uno dei caposaldi del suo programma di radicale trasformazione della vita italiana.
Filosofia della libertà – Lo stupore della ragione in Schelling
Registrazioni audio delle lezioni tenute presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
26-30 aprile 1988; 17 dicembre 1979
Pareyson in libreria
Bibliografia a cura di Francesco Tomatis
Per ultriori informazioni consultare la sezione Pubblicazioni in questo sito.
L’editore Mursia nel 1998 ha avviato a cura del Centro Studi Filosofico-religiosi Luigi Pareyson di Torino una edizione in venti volumi delle Opere complete del filosofo Luigi Pareyson. Sinora sono usciti tredici volumi e un quattordicesimo è imminente: i giovanili Studi sull’esistenzialismo (2001); Iniziativa e libertà (2005), che raccoglie gli scritti politici del periodo in cui partecipò alla resistenza italiana come responsabile dell’ufficio del comando per la provincia di Cuneo delle formazioni Giustizia e Libertà, nonché i corsi universitari del 1959 e del 1969 su “Il concetto di abitudine” e “L’iniziativa morale”; Fichte (2011), monografia risalente al 1950 che mostrò la filosofia della libertà di Fichte come possibile risposta all’hegelismo; i tre volumi di Estetica dell’idealismo tedesco (2005, 2014, 2003), dedicati a Kant e Schiller, Fichte e Novalis, Goethe e Schelling rispettivamente; due dei tre volumi previsti di Problemi dell’estetica (2009 e 2000), comprendenti il primo fondamentale corso universitario del 1946 e quello del 1958/59 su Valéry; Kierkegaard e Pascal (1998), sui due pensatori tragici cristiani cari a Pareyson; Interpretazione e storia (2007), raccolta di scritti fra i quali spiccano “Critica e metafisica” e il corso universitario del 1970 “Essere e libertà”; l’opera teoretica fondamentale Verità e interpretazione (2005) che prospetta una filosofia ermeneutica veritativa; Prospettive di filosofia moderna e contemporanea (2017), ampia raccolta dei corsi universitari mendoziani sulla Storia della filosofia moderna e contemporanea e dei molti scritti dedicati a Fichte e a Schelling; Prospettive di filosofia contemporanea (2021, in stampa), edizione ampliata del volume uscito postumo sui filosofi attuali: esistenzialisti, spiritualisti e non solo; Essere libertà ambiguità (1998), che assieme agli articoli degli anni ottanta raccoglie l’ultimo corso universitario, importante introduzione all’ontologia della libertà.
Inoltre l’editore Einaudi ha in catalogo due delle opere principali dell’ultimo Pareyson: Dostoevskij (1993) e Ontologia della libertà (1995). Sono invece esaurite da tempo alcune delle opere centrali in tutto il cammino di pensiero di Pareyson: Karl Jaspers (1939, Marietti 1983); Esistenza e persona (1950, il Melangolo 1985); Estetica. Teoria della formatività (1954, Bompiani 1988), il volume che ha cambiato la teoria dell’arte in Italia dopo Croce.
Come introduzioni complessive al suo pensiero sono reperibili diverse monografie, fra le quali: F. RUSSO, Esistenza e libertà (Armando, Roma 1993), M. GENSABELLA FURNARI, I sentieri della libertà (Guerini, Milano 1994), S. MARZANO, Il sublime nell’ermeneutica di Luigi Pareyson (Rosenberg & Sellier, Torino 1994), F. P. CIGLIA, Ermeneutica e libertà (Bulzoni, Roma 1995), F. TOMATIS, Ontologia del male (Città Nuova, Roma 1995), A. DI CHIARA, L’iniziativa. Il pensiero etico di Luigi Pareyson (il melangolo, Genova 1999), R. LONGO, L’abisso della libertà (Angeli, Milano 2000), E. CONTI, La verità nell’interpretazione. L’ontologia ermeneutica di Luigi Pareyson (Trauben, Torino 2000), L. GHISLERI, Inizio e scelta. Il problema della libertà nel pensiero di Luigi Pareyson (Trauben, Torino 2003), G. BARTOLI, Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e personalità della relazione. A partire dall’opera di Luigi Pareyson (Nuova Cultura, Roma 2008), G. BARTOLI, L’interpretazione del diritto nella prospettiva estetica di Luigi Pareyson (Giappichelli, Torino 2010), F. FRANCO, Luigi Pareyson (PUL, Roma 2014), F. MARINO, L’esplicito inesauribile. Pareyson e la storiografia filosofica (Angeli, Milano 2015), L. GHISLERI, Verità, simbolo, libertà. Studi sul pensiero di Luigi Pareyson (Mimesis, Sesto San Giovanni 2020), Indispensabile la completa bibliografia e documentata biografia del filosofo: F. TOMATIS, Pareyson. Vita, filosofia, bibliografia (Morcelliana, Brescia 2003).
Pareyson in Internet
Collezione di collegamenti a pagine riguardanti Pareyson in altri siti